podcast e digital radio

Podcast e digital radio: l’ho fatto anche io!

Da qualche tempo, nella mia testa e nelle conversazioni professionali, spunta sempre più spesso l’aspettativa, da parte degli addetti ai lavori, che podcast e digital radio siano la next big thing dell’universo dei media (incidentalmente stavo per scrivere mass-media, ma che definizione ridicola, oggi, in tempo di comunicazione personale).

E personale, la comunicazione di podcast e digital radio lo è davvero.

In epoca di comunicazione on-demand, di flussi e flusso, e del consumatore utente protagonista già a partire dalla definizione delle interfacce, per arrivare al giusto posizionamento tra i cluster (o segmenti) di pubblico, la vecchia radio, così calda, trova nuova vita in un universo di voci dalla varia qualità.

Poiché come utente amo molto la libertà data dai podcast (sono un accanito fan delle storie di Matteo Caccia, dai tempi di Amnesia e Vendo Tutto) anche se non sono un ascoltatore onnivoro (francamente il media mix che abbiamo a disposizione è sconfinato) e sono intimamente convinto che la pubblicità profilata erogata in programmatic sarà realmente una strepitosa arma non convenzionale nelle mani dei marketer più capaci.

Quindi ho deciso di fare un esperimento. Si dice sempre che bisogna sporcarsi le mani, no?

Ho preso il telefono e ho cercato: “App per podcast”. Ho installato una delle prime, dopo aver consultato un paio di blog e letto un paio di recensioni in inglese. Ho scelto Anchor (di cui avevo già letto e sentito parlare).

La mossa seguente è stata iniziare a prendere appunti vocali con il Memo registratore nativo di iPhone, che consente un blandissimo montaggio on the fly. Il taglio è un po’ scomodo, ma la funzione di sostituzione non l’ho trovata altrove, in app (certo, sarebbe meglio curare di più l’audio, con un buon microfono e un buon software: Audacity è open, tra l’altro).

Ho scelto di essere Agile, tanto parliamo di un esperimento per chiacchierare un po’, e per confrontarmi con qualche amico.

La prima puntata a braccio (la lascio anche se è abbastanza terribile), come la seconda il giorno dopo. Presi i due file, importati in Anchor, aggiunto sigletta e musica di sottofondo, cliccato su Pubblica, inserito Titolo e Descrizione: un’ora dopo il mio podcast era su Spotify:

Certo, poi l’ho rivendicato con Spotify for Podcasters e la seconda puntata l’ho curata di più, ma non è questo il punto.

Il punto è che è TERRIBILMENTE FACILE. Creare un podcast e digital radio così, anche solo qualche anno fa, era impensabile.

Vorrei davvero ci fermassimo un secondo per riflettere su come questa cosa abbia impatti incredibili, la semplicità tecnica del far sentire la propria voce e la seguente complessità successiva: senza contenuti, marketing, comunicazione efficace e in target giustamente non lo ascolterà nessuno. E gran parte dello sforzo sta lì (per questo l’automazione non distrugge ma crea posti di lavoro, ne riparleremo).

Il punto è questo: volevo capire come funzionava la tecnologia. Sotto sotto, è la stessa di quando il podcast è nato: un feed rss di contenuti. Ma che rivoluzione, sopra.

Ad ogni modo non so quanto vivrà il mio podcast: sicuramente meno dei messaggi promozionali personalizzati, che vivranno di product placement altamente profilato (e, seguendo il filo della puntata dedicata alle echo chambers, i podcast sono strumenti perfetti per la creazione di nicchie) e messaggi diretti, in target e di valore per gli utenti.

Ma c’è una funzione di Anchor che ho trovato magnifica: se visitate questa pagina (o scaricate l’app), potrete mandarmi un messaggio vocale e io potrò inserirlo all’interno della puntata successiva: una domanda, una contestazione, una opinione o un arricchimento; quel che volete.

Da un lato la trovo una funziona straordinariamente bella e ben implementata, dall’altra è l’unico modo per far vivere questo podcast.

Mandami un vocale
Mandami un vocale, un commento, una opinione. Quello che ti pare, sono un entusiasta del primo emendamento.

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