
Michele Travagli, eterno studente, nato a Ferrara nel 1980.
Prendo tra le mani il primo computer nel 1986, dopo aver imparato a programmare la registrazione di un Betamx e di un VHS.
Non laureato in Scienze della Comunicazione, vecchio ordinamento, ma con tutti gli esami svolti e un 70% di tesi che indagava legami e specificità tra semiotica ed ergonomia cognitiva nel rapporto uomo-macchina.
Dell’Università ho ottimi ricordi riguardo ai corsi di giornalismo, di semiotica e alcuni pezzi di sociologia, in particolare l’etnografia delle sottoculture (un pezzo di conoscenza che avrei usato volentieri con le intelligenze artificiali, se la riforma, come racconto qui, non mi avesse tolto la possibilità).
Ad ogni modo ho lavorato con il cinema, con la comunicazione, con l’informatica, con la formazione professionale (come tecnico, consulente e docente. Le docenze sono, ovviamente, sui temi precedenti).
Amo il concetto di evento, e gli eventi stessi. Amo la cultura pop che sta per sfiorire, ma è al massimo dello splendore, giusto un attimo prima del mainstream. E trovo che il cyberpunk sia il genere letterario più sottovalutato e predittivo della storia della cultura. Anche e forse perché chi ha costruito questa enorme macchina digitale in cui viviamo più del 50% delle nostre ore di veglia è stato fan di quegli stessi romanzi (fatevi un favore: recuperateli).
Avrò modo di scrivere di ognuno di questi argomenti e magari ne abbiamo già parlato. O ne parleremo. Per chi ama la fisica di frontiera il gioco è facile, perché il tempo è qualcosa di diverso da quello che il buon senso ritiene. E così, molto spesso, lo è anche la comunicazione ormai permeata di tecnologia e informatica.
Per questo oggi la mia attenzione è rivolta massicciamente a due temi:
- Il data driven advertising (declinato anche, ma non solo, nel programmatic advertising)
e
- I modelli in grado di incorporare l’incertezza
perché in un mondo sempre più complesso il numero di variabili che influenzano un evento è sempre più grande e sempre più difficile stimare le variabili prevalenti.
Tutto cambia, rapidamente. Per questo la bio, il sito, il profilo Linkedin sono un work in constant progress.
Perché l’unica costante che amo in un mondo di variabili è il progresso.
Anonimo