La blockchain spiegata a mio padre

[L’articolo è vecchi di due anni: ho cambiato alcune idee e alcune posizioni in materia, arriverà un aggiornamento.

Ad ogni modo oggi credo meno a blockchain come panacea, ma ritengo che i tre motivi che hanno spinto Nakamoto a creare Bitcoin restano validi:

  • La necessità di una certificazione in assenza di terza parte
  • La necessità di avere una  cifratura dei dati “by default”
  • La necessità di tenere in vita la rete decentralizzata mediante incentivi a chi sostiene un nodo.

Ad ogni modo ne riparleremo].

Come far capire la blockchain e i principi delle cripto-valute ai non addetti ai lavori

Mio padre è nato nel 1946, e anche se io sono nato nell’80, gli somiglio molto.

Ho avuto possibilità che lui non ha mai avuto, come quella, in parte sprecata, di studiare. Possibilità che mi ha dato lui (e mia madre, sia chiaro, ma qui stiamo usando un esempio, no polemiche di genere. L’articolo poteva chiamarsi “La blockchain spiegata a mia madre”).

Ma quando era giovane, per ogni parola che non conosceva, prendeva in mano un vocabolario. Imparava, curioso. Ad un certo punto della sua vita la curiosità si è spostata sulla tecnologia. Ed allora ecco che in casa, nel 1978, spunta un Betamax della Sony, due anni prima della mia nascita (parleremo poi delle tecnologie perdenti, le ho scelte spesso).

Nel 1986, tra lo sconcerto generale dei suoi amici, mi compra un Commodore 64, con il floppy da cinque e un quarto. Pochi anni dopo, l’Amiga e via di seguito il primo 486. E’ un’epoca in cui il personal computer viene visto come un attrezzo per giocare, AKA perdere tempo, eh sì, giocavo parecchio all’epoca (oggi lo ringrazio, credo di avere un lavoro principalmente perché papà ha speso una fortuna in tecnologia). Nel ’95, quando alla parola internet si associavano solo satanismo e pedofilia (da parte dei giornali che già si stavano litterally scaring to shit) ci abboniamo a Video On Line, il primo Internet Service Provider nazionale italiano. Costa 360 mila lire all’anno, e ci devi pure pagare gli scatti telefonici (costo urbano a minuto, per fortuna). Ho 15 anni, e lì papà decide che posso correre da solo, che a starmi vicino mi avrebbe rallentato, e perde la corsa con la tecnologia. Ma aveva capito che internet era qualcosa di ENORME. Come lo aveva capito per il Personal Computer.

Come spiegargli oggi, dalla mia inesausta passione di 37enne per la tecnologia, a lui che è fuori dalla corsa da tanto tempo, e di anni ne ha 71, perché credo che la blockchain sarà la più grande rivoluzione da tempi di internet?

Ci ho provato, nelle pause pranzo che passo con lui.

E ci ho provato dicendogli:

Papà, la blockchain è un libro mastro. Hai presente quello che tenevi quando avevi il negozio di alimentari sotto casa? Uguale: un registro dove segni i dati.
Solo che, con la blockchain, quando registri i dati, questi vengono nascosti con la tecnologia di cifratura dei messaggi più potente che esista, una serie di funzioni matematiche così complesse da far girare la testa a chi ha sconfitto i nazisti decifrando Enigma (papà ha visto e apprezzato Imitation Game, ha scoperto Turing, e ama, come me, Cumberbatch per Sherlock). E questi dati li fai vedere solo a chi vuoi tu.

Sembrava interessato e mi seguiva, quindi ho continuato.

In quel registro ci sono anche le marcature temporali, così si sa per certo che i dati che registri non possono essere duplicati. Cominci a capire, papà? Ciò che con il digitale sembrava poter essere copiato all’infinito, oggi può essere unico.

Papà capiva.

Poi, visto che se quel libro mastro ce l’hai solo tu, non sarebbe diverso da quello che avevi al negozio, pensa a come sarebbe se quel libro tu lo avessi avuto in comune con i fornitori, o con tutto il mondo: tutti gli autorizzati potrebbero accedere, istantaneamente a quei dati. E solo chi vuoi tu, potrebbe vederli.

Era sempre più interessato. Però se qualcuno vuole contraffare il libro mastro, una possibilità ci sarebbe, mi ha detto.

L’ho prevenuto: certo papà, ma blockchain mette in atto altre azioni. Ad esempio, quando c’è una comunicazione tra gli attori, un passaggio di soldi o di merce, il libro mastro viene copiato su tutti i computer che fanno parte della rete di quella blockchain. Quando la metà più uno dei computer che partecipano alla rete ritengono quella transazione valida, la validano per tutti (papà è sempre stato appassionato di politica: la metà più uno è un concetto che conosce dai quorum dei referendum).

Ricapitoliamo: il libro mastro (un database) è cifrato, ad altissima sicurezza. Tutti lo possiedono, ma solo i destinatari dell’informazione possono leggere le informazioni a loro destinate. E una transazione non può avvenire finché la metà più uno dei nodi non la autorizzano.

Sembrava convinto. Ma mi ha fatto una domanda: E se il codice informatico con cui la blockchain è scritta avesse delle backdoor di cui non siamo a conoscenza? (Papà ha visto con me Wargames nel 1986).

Gli ho detto che la blockchain, per funzionare e garantire davvero le promesse che sembrano essere in campo, deve essere programmata in codice open source, in modo che tutti gli sviluppatori del mondo, capaci di leggere quel codice, possano effettivamente studiarlo, validarlo, migliorarlo. Quindi identificare eventuali backdoor, o vulnerabilità, e risolverle.

La blockchain diventa così uno strumento per condividere i dati che vogliamo condividere, rendere i beni digitali scarsi, tagliare fuori i certificatori di terze parti, mettere al sicuro i nostri dati, aumentare l’affidabilità delle filiere di produzione, creare accordi che tengano e si eseguano davvero, e non solo in tribunale.

E via con le fantasie di cui vi parlo, e vi parlerò, nel blog, e che credo fortemente si trasformeranno in realtà (parleremo anche di come remunerare chi spende denaro/energia/hardware per il calcolo necessario ad alimentarla, ci sono molti modi, non solo bitcoin).

Era praticamente stupefatto: avevamo la stessa faccia che abbiamo avuto quando abbiamo, insieme, scoperto internet.

Ecco perché credo nella blockchain: perché ci credo io, e sono riuscito a spiegarla a mio padre.

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